Nosferatu, il commento al film di Robert Eggers
"Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti?" Ecco no, non proprio: è bastata la telepatia. O, per essere più precisi, un rapporto psichico.
Paragonarlo al Dracula di Bram Stoker è l’errore più grande si possa fare, ora che Robert Eggers, dopo VVITCH, The Lighthouse e l’epica scaldica di The Northman, apparecchia per lo spettatore il suo sogno nel cassetto, quello che arriva direttamente dal 1922. Nosferatu, il non-morto o, com’è tradotto dal romeno, “Il non-spirato”.
In comune con Robert Eggers - anche se il film è diverso e la proprietà intellettuale letteraria appartiene a Bram Stoker - ho di aver visto Dracula di Francis Ford Coppola grazie a mia madre (anche se lui, a nove anni, vide per la prima volta Nosferatu). Fatta questa premessa, come già accennavo nel preludio, il confine che divide l’allora film muto di Murnau con Vlad Tepes, è sottile. Intanto, è bene raccontare che il Dracula di Francis Ford Coppola non è esattamente come quello rappresentato nel libro.
La fedeltà, caratteristica cardine di tanti romanzi traposti in film e telefilm, talvolta non può ovviamente rispettare tutto. Quel “Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti”, dunque, è una grossa libertà che Coppola si prese nel 1995 quando Dracula di Bram Stoker arrivò nelle sale. Robert Eggers è un regista abilissimo, di talento, e conosce l’horror in un modo che non si vedeva da tempo. Utilizza delle tecniche precise per raccontare la storia, facendo un uso particolareggiato delle luci, delle ombre e delle atmosfere, per ricreare momenti che esaltano le caratteristiche dei suoi attori.
Cos’è davvero l’oscurità?
Se in The VVITCH il primo piano finale su Anya Taylor-Joy lasciava senza fiato, come se lei fosse l’unica luce presente in quella stanza (anche se il suo personaggio si era abbandonata all’oscurità), in Nosferatu dal buio ogni orrore è come un quadro impressionista tedesco, dipinto da sagome che si mostrano improvvisamente per poi mostrarsi improvvisamente. Il Nosferatu di Eggers, perché è così che deve essere chiamato, non racconta un conte che intende conquistare il cuore di qualcuno, bensì è un essere abbietto, consumato da una pena e da un desiderio senza fine, da soddisfare a ogni costo. È una figura che si cela nell’oblio e, infilandosi nei pensieri e nelle preghiere altrui, è l’inganno in cui tutti cadono. Dapprima è buono e gentile, ma dopo… dopo dimostra chi è davvero: un mostro. Toglietevi dalla testa una qualunque umanizzazione di questa creatura, se pensate di avere davanti un remake del film di Coppola, considerando che stiamo parlando della stessa storia, seppure le pulsioni siano diverse e il fine non sia il medesimo.
STRIGOI E TRADIZIONI ANTICHE
Spinto dalle immense possibilità di carriera che gli sono state poste sul piatto, il giovane Thomas decide di assecondare il suo desiderio e di partire per la Transilvania, per giungere alla magione del conte Orlok, un uomo desideroso di cambiare Paese. Sembra una storia qualunque, magari tipica: un vecchietto desideroso di schioppare in santa pace senza troppi pensieri. Noi sappiamo cosa sta per accadere, ma Thomas no, e il suo intento è avverare il sogno di avere una casa sua con la giovane moglie, Ellen Hutter, rimasta orfana di madre da piccola. Sin dall’infanzia, la giovane ha incubi costanti da cui non riesce minimamente a distaccarsi.
Quei sogni, dapprima caldi e accoglienti, poiché la facevano sentire meno sola, ora sono brutali e infimi, poiché riguardano le persone a lei vicine. La ragazza non si preoccupa mai, mai per il suo fato, e ciò lo dimostra attraverso il suo legame con Thomas, cui sconsiglia di avventurarsi in un luogo simile poiché preoccupata che quegli incubi si stiano acuendo. Il resto della storia già la conosciamo più o meno tutti quanti e, ovviamente, è inutile ripeterla. La qualità messa in campo per descrivere la prima parte, infatti, non si limita solamente a raccontare un preludio delle vicende narrate nella seconda, bensì trasporta adagio in questo incubo, fino a divenire reale.
Tra Ellen Hutter e Mina Murray, io preferisco la prima.
Comunque, Thomas giunge in Transilvania a cavallo e viene accolto da croci ortodosse e da zingari in un villaggio, probabilmente l’unico al mondo, in cui le tradizioni non hanno lasciato spazio al progresso. C’è una caratteristica che, sin da subito, mi ha fatto impazzire, ed è il termine romeno che conosco grazie ai libri di letteratura dell’università: “Strigoi”, ovvero vampiro.
Per la prima volta, viene raccontato il passato di queste bestie attraverso le loro origini folkloristiche in modo preciso. Viene mostrata una tomba, una giovane su una puledra, nuda, in sacrificio alla creatura che sta attanagliando il villaggio da diverso tempo. Viene mostrato un cadavere putrefatto, impalato successivamente, che in seguito vomita sangue. Thomas non ha idea di cosa sia reale, non ha idea di cosa sia sogno e finzione, e il suo arrivo al castello n’è la prova. Non facendo ulteriori spoiler, il racconto si concentra dopo sulla figura del conte Orlok e, infine, su tutto il resto. In sintesi, la storia è bene non rivelarla tutta, ed è per questo che ora vi parlerò delle sensazioni che mi ha lasciato.
PECCATO, DESIDERIO E OSSESSIONE
Mentre Thomas viene accolto dal conte Orlok, in Germania, nel frattempo, Ellen Hutter è ospite a Wisborg di Harding, un grande amico d’infanzia di Thomas. Gli incubi sono onnipresenti e costanti, tanto da spaventare la famiglia ospitante, che fa di tutto per proteggerla. Quello che avviene in Germania, e poco dopo nella seconda parte, mi ha colpito in maniera totale. Come accennavo prima, Orlok non è un personaggio umano, non si può umanizzare: non prova amore e desidera soltanto dissetarsi. Non ha l’obiettivo di trasformare Ellen, ma di placare un tormento a causa della giovane, che lo ha evocato da bambina perché si sentiva sola a causa di un padre assente e bigotto.
Giochi di luce e oscurità nel pieno stile di Robert Eggers.
Non c’è un amore, qui, ma un rapporto sporco e malato, tra due figure distanti: la prima che, pur avendo accettato l’oscurità in passato, ha deciso di tornare alla luce. E l’altra che, invece, è completamente avvolta dall’oblio. È un rapporto nato dal peccato che viene raccontato attraverso delle premonizioni, delle possessioni e dalle volontà oscure del conte, desideroso di porre fine al suo tormento semplicemente eliminando la causa del suo patimento.
Eggers, con bravura, ha raccontato la storia a suo modo, con il suo stile e ha trasportato lo spettatore nei pensieri di Ellen mostrando le sue reali volontà, seppure sia tornata alla luce e quell’oscurità, brutale e invadente, non la voglia più. Il rapporto sporco tra queste due figure, l’una legata all’altra, è dunque nato dalla solitudine della ragazza che era disposta a tutto pur di non essere più sola, pure ad accettare un patto folle con un demone, un flagello che conserva tutte le piaghe d’Egitto ed è la dimostrazione della malvagità.
Speriamo nessuno umanizzi Orlok.
Nessuna umanizzazione, nessun pentimento e nessuna pietà: Orlok è un essere senza scrupoli che, addirittura, consuma delle bambine per ottenere cosa vuole. E intanto che la seconda parte si evolve, quello che ho accogliente, è il simbolo della croce quando Thomas viene salvato dalle suore. Perché scrivo questo? Il buio che si è vissuto poco prima, tutto ciò che si è evoluto e la malvagità raccontata da Eggers, contrappone il buio e l’umana virtù, quella fatta dagli zingari quanto dalle suore, le uniche figure che conoscono il non-spirato e il suo oscuro passato, descrivendolo come una figura che, in passato, ha accettato l’immortalità a ogni costo, ovvero quello di risucchiare l’essenza dei vivi: il sangue. Il ritmo del racconto è meraviglioso e preciso, non distaccandosi mai dalla morale del racconto, e dando a Ellen Hutter la redenzione.
LA SOLA A LIBERARCI DAL MALE
La ragazza ha evocato il male, un figlio del demonio, un demone che ha consumato tutte le persone a lei vicine e ha portato la peste con sé. Come può mettere a fine a tutto quel dolore? Mentre Thomas, il dottor Sievers e il professor Albert Von Franz distruggono la tomba del non-spirato, Ellen Hutter accetta, alla fine, quel patto. Lei accoglie il conte Orlok, che le risucchia il sangue, tenendolo attaccato a sé fino all’alba, in attesa del canto del primo gallo. Sacrificandosi, libera dal male Wisborg, e muore mentre la luce torna nella cittadina.
Eggers non ha mutato il finale e lo ha mantenuto agrodolce, ed è un finale che non è bello né per chi le sta vicino, né per Ellen stessa. Lo è per l’umanità perché, alla fine, Orlok è solo un mostro, una creatura abbietta, senza cuore né anima, da eradicare, impossibile di essere redenta e salvata. Ellen invece sì, è l’eroina della storia, il punto debole della creatura e l’unica ad aver accettato il suo fato, toccando l’oscurità per arrivare alla luce.
A mio modo di vedere, abbiamo già il film del 2025.
Nosferatu è un racconto, ora, che arriva a chiunque finalmente mostrando cos’è realmente un vampiro e come agisce, qual è il suo piano, il suo designo. Eggers fa del folklore, un’altra volta, la sua arma di successo, usando la cinepresa non solo per scendere nel buio, ma per esaltare la luce. Una scena splendida, quella che conduce Thomas dal conte, è quando il nostro vede arrivare la carrozza. Dopo il freddo, gli incubi e la paura, essa rappresenta per lui la sua unica salvezza. Invece, porta soltanto morte.